Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for the ‘Senza categoria’ Category

MESSICO
Indios del Chiapas

Gli Indios del Chiapas richiedono da sempre autonomia politica ed amministrativa, istituzione di scuole per l’insegnamento delle lingue e delle Culture Locali, maggiore rispetto per il Diritto alla salute visto che molti bambini muoiono ancora a causa di bronchiti o malaria. Il tasso di mortalità infantile è talmente elevato che ai bambini spesso non viene dato un nome prima del terzo anno di vita. Gli Indios del Chiapas hanno combattuto per i propri diritti dapprima contro i coloni Spagnoli, poi dal 1821, anno di ottenimento dell’Indipendenza, contro il governo centrale. L’ostacolo principale alla loro emancipazione proviene dalla regione nella quale essi sono storicamente insediati,  ovvero quella di Selva Locandona, ricca di giacimenti di petrolio ed Uranio che destano l’interesse, e dunque l’opposizione a qualunque forma di emancipazione dell’area, da parte del Messico e degli Stati Uniti, che hanno dimostrato di voler impedire il cambiamento di status quo anche con la nascita del NAFTA, la zona di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico.
Dal 1983 gli Indios danno vita all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, con a capo il Subcomandante Marcos: un movimento armato che combatte per i diritti degli Indios, manifesta l’opposizione contro i paesi occidentali, ed il neoliberismo economico. L’esercito si è costituito come movimento armato poiché attraverso le vie legali non sono mai stati raggiunti dei risultati decisivi e non si è mai stati ascoltati. Le operazioni del movimento sono state comunque per lo più di tipo dimostrativo, basate su sequestri brevi e privi di violenze.

Al popolo del Messico
Ai popoli ed ai governi del mondo

Fratelli:
non morirà il fiore della parola. Potrà morire il volto nascosto di chi oggi la nomina, ma la parola che è venuta dal fondo della storia e della terra non potrà più essere strappata dalla superbia del potere.

Noi siamo nati dalla notte. In lei viviamo. Moriremo in lei. Ma la luce sarà il domani per i più, per tutti quelli che oggi piangono la notte, per tutti quelli cui si nega il giorno, per quelli per i quali la morte è un regalo, per quelli ai quali è proibita la vita. Per tutti la luce. Per tutti tutto. Per noi il dolore e l’angoscia, per noi l’allegra ribellione, per noi il futuro negato, per noi la dignità insorta. Per noi niente.
La nostra lotta è per farci ascoltare, ma il malgoverno grida la sua superbia e tappa con i cannoni il suo udito.

La nostra lotta è contro la fame, ma il malgoverno regala piombo e carta allo stomaco dei nostri figli.

La nostra lotta è per un tetto dignitoso, ma il malgoverno distrugge le nostre case e la nostra storia.

La nostra lotta è per il sapere, ma il malgoverno dispensa solo ignoranza e disprezzo.

La nostra lotta è per la terra, ma il malgoverno offre cimiteri.

La nostra lotta è per un lavoro giusto e degno, ma il malgoverno compra e vende corpi e vergogne.

La nostra lotta è per la vita, ma il malgoverno offre morte come futuro.

La nostra lotta è per il rispetto del nostro diritto a governare e governarci, ma il malgoverno impone ai più la legge dei meno.

La nostra lotta è per la libertà di pensare e camminare, ma il malgoverno mette prigioni e tombe.

La nostra lotta è per la giustizia, ma il malgoverno è pieno di criminali ed assassini.

La nostra lotta è per la storia, ma il malgoverno propone l’oblio.

La nostra lotta è per la Patria, ma il malgoverno sogna con bandiera e lingua straniere.

La nostra lotta è per la pace, ma il malgoverno annuncia guerra e distruzione.

Tetto, terra, lavoro, pane, salute, educazione, indipendenza, democrazia, libertà, giustizia e pace. Queste sono state le nostre bandiere nell’alba del 1994. Queste sono state le nostre richieste nella lunga notte di 500 anni. Queste sono oggi, le nostre esigenze.

Il nostro sangue e la nostra parola hanno acceso un piccolo focherello nella montagna ed abbiamo camminiamo verso la casa del potere e del denaro. Fratelli e sorelle di altre razze e di altre lingue, di un altro colore e dello stesso cuore, hanno protetto la nostra luce e da lei hanno acceso pure i loro fuochi.

È venuto il potente a spegnerci col suo forte soffio, ma la nostra luce è cresciuta in altre luci. Sogna il ricco di spegnere la prima luce. È inutile, ci sono già molte luci e tutte sono le prime.

Vuole il superbo spegnere una ribellione che la sua ignoranza ubica all’alba del 1994. Ma la ribellione che oggi ha un viso bruno e una lingua vera, non è nata ora. Prima ha già parlato con altre lingue ed in altre terre. In molte montagne e con molte storie ha camminato la ribellione contro l’ingiustizia. Ha parlato in lingua náhuatl, paipai, kiliwa, cúcapa, cochimi, kumiai, yuma, seri, chontal, chinanteco, pame, chichimeca, otomí, mazahua, matlazinca, ocuilteco, zapoteco, solteco, chatino, papabuco, mixteco, cuicateco, triqui, amuzgo, mazateco, chocho, izcateco, huave, tlapaneco, totonaca, tepehua, popoluca, mixe, zoque, huasteco, lacandón, maya, chol, tzeltal, tzotzil, tojolabal, mame, teco, ixil, aguacateco, motocintleco, chicomucelteco, kanjobal, jacalteco, quiché, cakchiquel, ketchi, pima, tepehuán, tarahumara, mayo, yaqui, cahíta, ópata, cora, huichol, purépecha y kikapú. Ha parlato e parla in castellano. La ribellione non è una parola in una lingua, è dignità, è esseri umani.

Perché lavoriamo ci ammazzano, perché viviamo ci ammazzano. Non c’è posto per noi nel mondo del potere. Perché lottiamo ci ammazzeranno, ma noi faremo un mondo dove ci stiamo tutti e dove tutti viviamo senza morte nella parola. Ci vogliono togliere la terra perché il nostro passo non incontri più la terra. Ci vogliono togliere la storia perché nell’oblio muoia la nostra parola. Non ci vogliono come indios. Morti, ci vogliono.

Per il potente il nostro silenzio è sempre stato il suo desiderio. Tacendo morivamo, senza parola non esistevamo. Lottiamo per parlare contro l’oblio, contro la morte, per la memoria e per la vita. Lottiamo per la paura di morire la morte dell’oblio.

Parlando nel suo cuore indio, la Patria continua degna e con memoria.

Read Full Post »

“E poi ti dicono tutti sono uguali tutti rubano alla stessa maniera,
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso in casa quando viene la sera…”

Read Full Post »

Il popolo Saharawi 

Il sogno del Marocco è sempre stato, dall’ottenimento dell’indipendenza nel 1956, quello della costituzione del Grande Marocco: la riunificazione dei territori appartenenti all’antico e glorioso Impero Almoravide, Marocco, attuale Mauritania, e Sahara Occidentale. In ordine a questo intento il Marocco rifiuterà di riconoscere l’indipendenza della Mauritania prima (1960) e del Sahara Occidentale poi.

 
Quest’ultima zona dal 1884, anno del congresso di Berlino, viene affidata alla colonizzazione prima Francese e poi Spagnola. Gli spagnoli si avvarranno delle ricche riserve di pesca e dei giacimenti di fosfati fino al 1975: la morte di Franco indebolisce sempre piùla Spagna, che, occupata ora a risolvere i problemi sorti sul fronte interno, non è più in grado di controllare le colonie d’oltremare. Gli spagnoli decidono così di abbandonare definitivamente il Sahara Occidentale, che se vorrà potrà rendersi indipendente. Già qualche anno prima della morte del Caudillo, avvertendo la debolezza del regime coloniale, i popoli Saharawi, un insieme di tribù seminomadi che popolano la zona, cominciano a dar vita ai primi movimenti di rivendicazione di indipendenza, primo tra tutti il Fronte Polisario.

Già dal 1972, l’ONU riconoscerà ai popoli Saharawi il diritto di Autodeterminazione.
Nel 1975 tale diritto viene riconfermato anche dal governo Spagnolo.
Ma è un diritto che a tutt’oggi i Saharawi non sono ancora riusciti ad esercitare.

Il 6 Novembre 1975, infatti, annunciato l’abbandono del Sahara Occidentale da parte della Spagna, Hassan II, Re del Marocco, chiama a raccolta tutti gli abitanti delle regioni del sud: dovranno intraprenderela Marcia Verdeper l’occupazione pacifica di quelli che sono dei territori spettanti di diritto al popolo marocchino. 350.000 marocchini occupano le città dei Saharawi, che da allora sono costretti ad abbandonarle. Vengono investiti da un processo di sedenterizzazione forzata e, privati delle loro terre, vivono come profughi in una piccola striscia di territorio a nord della Mauritania, o in campi profughi creati soprattutto in Algeria, il più importante dei quali nella città di Tindouf.

Cominciala Guerradel Sahara, che vede contrapporsi da un lato la resistenza armata del Fronte Polisario, che da vita alla RASD, Repubblica Democratica Araba Saharawi, dall’altro lato l’esercito marocchino, sostenuto militarmente dai paesi occidentali, primi tra tutti Francia e Spagna (legata al governo marocchino per le enclavi di Ceuta e Melilla), e dai paesi della Lega Araba. Nel 1980 viene costruito un famigerato muro lungo2720 km, costituito da oltre200.000 kmdi filo spinato, protetto da 160.000 soldati armati, 240 batterie di artiglieria pesante, migliaia di blindati e i milioni di mine antiuomo vietate dalle Convenzioni internazionali, che hanno provocato negli anni centinaia di morti. Il muro argina il Polisario ed i Saharawi al di fuori della Zona Economica, comprendente le città di Al Aaiun e Es Samara: reale interesse del Marocco (e dei suoi sostenitori) sono infatti i giacimenti di fosfati che lo rendono il terzo produttore mondiale di tale risoras, e le riserve di pesca. Inoltre si ritiene che il territorio sia ricco di giacimenti di gas e petrolio.

La guerra continua con dure perdite anche per l’esercito marocchino, fino a quando l’ONU non decide di intervenire nel 1988, istituendo la MINURSO, Missione per il Referendum nel Sahara Occidentale. Intento delle Nazioni Unite è fare in modo che si tenga un referendum con cui il popolo possa esprimere la propria preferenza: se per l’annessione al Marocco oppure per l’indipendenza.
Ma dal 1988 ad oggi il referendum non è stato mai realizzato. Si dubita inoltre ormai per l’attendibilità che esso potrebbe avere: obiettivo del Marocco attraversola Marcia Verde e la politica di ripopolazione è stata in tutta probabilità volta esattamente alla trasformazione del corpo elettorale. Oggi il Sahara Occidentale è prevalentemente abitato da Marocchini, i Saharawi sono ormai ridotti ad una minoranza.

Nessuno ha mai riconosciuto formalmente l’annessione del Sahara Occidentale al Marocco, che occupa attualmente l’80% del territorio e ritiene gli appartenga integralmente. La Rasdè riconosciuta da 70 paesi. Tra di essi non può essere contemplata l’Unione Europea.
I Saharawi, profughi oltre il muro, continuano ad attendere il referendum accordato ormai più di 20 anni fa.

Radio Tindouf

…il vecchio Omar sta parlando ai bimbi
di città lontane
di un oceano amico e di terre verdi
da chiamare casa
e di cento piante che crescono.

Mio padre un giorno se n’è andato al fronte,

e non è più tornato
il vecchio Omar dice
che è finito in un posto
dove c’è la guerra
e i carri armati che sparano.

Ascolta mamma, questa notte il deserto
mi ha portato un sogno
un grande fiume scendeva giù
e portava via i soldati
e rivedevo la mia città,
rivedevo la mia città

Ascolta mamma, c’è una voce che chiama
al di là del muro
c’è un vecchio uomo che canta e piange
per le sue catene

e mille voci che gridano
e mille voci rispondono…

Modena City Ramblers

Read Full Post »

Negli stessi anni in cui si consuma la tragedia del Biafra un altro popolo si trova a fare i conti con una serie di gravi problemi derivanti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere: il popolo degli Ogoni, stanziato anch’esso nelle regioni a sud.

I primi villaggi dell’etnia Ogoni sorgono sul Delta del Niger già 500 anni fa. Il popolo viveva a stretto contatto con la “Madre Terra”, elemento fondamentale all’interno della propria tradizione oltre che principale fonte di sostentamento: gli Ogoni vivevano infatti principalmente di agricoltura e pesca. Questo fino agli anni ’50, quando al posto dei loro villaggi, nella zona cominceranno ad insediarsi le multinazionali del petrolio.

La prima, nel 1958, saràla Shell, che fonderàla Shell PetroleumDevelopment Company of Nigeria (SPDC), responsabile di gran parte dei disagi e delle problematiche che andranno a segnare la storia dell’intero paese. A tutt’oggi principale estrattrice tra le diverse multinazionali operanti in Nigeria (attualmente 31),la Shell, ha privato gli Ogoni delle loro terre, distrutto villaggi e coltivazioni per far posto alle raffinerie. L’estrazione petrolifera effettuata con macchinari obsoleti e non dotati delle adeguate misure per la salvaguardia dell’ambiente, lo hanno inoltre enormemente degradato: esplosioni hanno distrutto foreste; le piogge acide hanno contaminato le ultime colture esistenti; fuoriuscite di greggio hanno inquinato le acque del Niger, rendendo aridi i terreni; ed incidenti hanno provocato la morte di numerosi civili. 

Molte sono state le proteste portate avanti contro i soprusi perpetrati dalla Shell dalla fine degli anni ’50 ad oggi, e altrettante sono state quelle represse nel sangue dall’esercito Nigeriano, proprio dietro richiesta di intervento da parte della stessa Shell. Sarà solo nel 1990 che riuscirà a prendere vita un vero e proprio movimento, il Movimento perla Sopravvivenzadel Popolo degli Ogoni (MOSOP), che si batte per i suoi Diritti, portando avanti attraverso manifestazioni pacifiche, rivendicazioni per l’autodeterminazione del popolo degli Ogoni e per ottenere i risarcimenti ai danni irreversibili provocati dalla Shell Petroleum.  

  Nel 1995, uno dei fondatori del MOSOP nonché presidente dell’associazione, Ken Saro-Wiwa, intellettuale, poeta, attivista politico, dopo aver denunciato il comportamento della Shell e delle altre multinazionali sulla scena internazionale ed aver organizzato marce pacifiche di protesta che hanno visto la partecipazione di oltre 300.000 persone,

viene giustiziato per impiccagione assieme ad altri 8 attivisti. Shell e stato Nigeriano mettono a tacere la voce della protesta, nel tentativo di attenuarne la risonanza mediatica anche e soprattutto sul piano internazionale. La sua uccisione viene condannata dall’opinione pubblica e dai governi dell’Unione Europea: peccato che proprio i paesi Europei fossero ( e siano  tutt’ora) tra i principali azionisti delle multinazionali operanti nel Delta del Niger.

Le accuse intentate dai legali dello scrittore alla Shell, hanno fruttato non una condanna ai danni della multinazionale, che è voluta scendere a patteggiamenti pur di evitarla, ma perlomeno un risarcimento di 15 milioni di dollari a favore dei familiari.

 «Sul nostro territorio le multinazionali agiscono non certo come nel Paesi di appartenenza. Negli altri Paesi infatti gli oleodotti vengono costruiti sottoterra, da noi sono ammucchiati in superficie da quasi cinquant’anni. Gli oleodotti hanno avuto un impatto ambientale terrificante anche perché mancano le manutenzioni necessarie. Spesso ci sono fuoriuscite o esplosioni che provocano la morte dei cittadini dell’area. Questo è l’aspetto grave e immediato, ma il processo di distruzione a volte è più lento. Il greggio, quando fuoriesce dagli oleodotti, si riversa sui terreni fino ad arrivare ai fiumi, seminando inquinamento. I fiumi da cui si attinge l’acqua sono quindi avvelenati, li 7% delle donne Incinte è a rischio. Ci sono state nascite di bambini malformati perchè le madri avevano bevuto l’acqua inquinata. Recentemente un tecnico della Shell ha avuto un moto di coscienza e si è licenziato. Da anni metteva la firma per avvallare le analisi sulle acque destinate agli Ogoni. Finalmente ha detto che non se la sentiva più dl continuare e ha raccontato di aver perso il sonno la notte, perchè si è reso colpevole di aver fatto bere dell’acqua in cui lui non metterebbe nemmeno un dito del piede. Il petrolio viene estratto e raffinato a costi bassissimi eppure le multinazionali non spendono una lira per migliorare la vita delle popolazioni locali ».

Brldget Yorgure, attuale referente del MOSOP

“Ci hanno fatto questo: hanno trasformato i nostri campi di melanzane rosse e di meravigliosi pomodori in una putrida e fetida poltiglia”. E ancora: “Dopo il massacro della nostra gioventù è arrivata la piaga delle piattaforme petrolifere e altra morte per i terreni coltivati e per i santuari dove vivono i pesci e quelle eterne fiamme che trasformano il giorno in notte e avvolgono la terra in finissima fuliggine”. Lo scrittore venne arrestato dal regime nigeriano con un pretesto: lo accusano di aver incitato all’omicidio alcuni avversari del suo Movement for the Survival of the Ogoni People (Mosop). Una balla che il regime non riuscì mai a dimostrare. Non ci furono verifiche né interrogatori, non ci fu una possibilità reale di difesa. E’ un meccanismo solito dei regimi e spesso anche delle democrazie. Quando un intellettuale riesce ad emergere e a parlare a un gran numero di persone il potere trema, le imprese pure: è come se si trovassero di fronte a qualcuno che sta svelando come funzionano le cose. E la paura cresce quando si tratta di uno scrittore, che lo sta facendo in modo pacifico. Le accuse e i consigli sono sempre gli stessi: lo fa per arricchirsi, non seguitelo. E si dice che lo scrittore i suoi nemici personali li elimina: in fondo è uguale al regime che critica. Tutti uguali, insomma.

Roberto Saviano

«Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. lo sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta dl ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale».

Ken Saro-Wiwa poco prima dell’esecuzione

La vera prigione

Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione

 Ken Saro-Wiwa

Read Full Post »

NIGERIA

La Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa e potenzialmente anche il più ricco assieme al Congo, con grandi riserve di petrolio, carbone e stagno. La popolazione è costituita da più di 200 etnie, le più importanti delle quali sono:

gli Hausa, musulmani, stanziati a nord;
gli Yoruba, cristiani ad ovest;
e gli Igbo, cristiani, a sud.

I maggiori giacimenti di minerali si ritrovano nella regione popolata dagli IBO, a sud, antistante il golfo del Biafra. 

Gli Igbo nella guerra del Biafra

La politica coloniale Inglese, aveva già creato una società segnata dal divario sociale ed economico: le estrazioni minerarie depauperavano i giacimenti delle regioni del sud, e, se non venivano esportate all’estero, erano utilizzate per il solo sviluppo delle regioni a Nord, abitate dal gruppo Hausa, al quale gli inglesi conferirono sempre una posizione privilegiata rispetto agli altri gruppi etnici. Gli Igbo venivano così privati, oltre che delle loro risorse, anche della soddisfazione dei bisogni più essenziali.

Il primo governo indipendente che salirà al potere dopo la decolonizzazione cercherà di mantenere invariato questo tipo di politica, destando però presto le reazioni degli ufficiali Igbo: nel Giugno del1967, apochi mesi dall’indipendenza, proclameranno la secessione e la creazione della Repubblica del Biafra, subito avversata dall’esercito Nigeriano. Inizierà una guerra che vedrà i due eserciti scontrarsi per 3 anni. Nel 1969 il Biafra verrà posto sotto assedio e verrà imposto l’embargo alimentare e di medicinali a danno dei civili Igbo: facile comprendere le conseguenze di questo embargo, considerando che durante la guerra perdettero la vita almeno 3 milioni di persone, la maggior parte delle quali appunto per fame e malattie, più di quante non ne abbiano uccise le bombe.

Deprecabile il comportamento delle potenze estere: Stati Uniti, Inghilterra, Ex Unione Sovietica, paesi musulmani e maggioranza degli Stati Africani si schiereranno tutti dalla parte della Nigeria, continuando a venderle le armi. Unici sostenitori del piccolo Biafra, saranno Francia, Vaticano, una minoranza di stati Africani, e le Organizzazioni Umanitarie, tra cui Medecins Sans Frontieres, che nasce proprio in Biafra.

Le regioni a sud poste sotto assedio accetteranno la sconfitta nel 1970: ancora negli anni successivi gli Igbo dovranno affrontare una grande discriminazione politica e sociale da parte delle altre etnie, e una iniqua distribuzione delle risorse. Poche saranno quelle destinate alla ricostruzione delle regioni del Biafra.

Read Full Post »

La prima guerra mondiale vede il mondo ridefinirsi attraverso 14 principi di Wilson: tra di essi è già contemplato il diritto di autodeterminazione, che sarà ripreso dalla Carta Atlantica, ed è ancora presente tra i principi fondamentali dell’attuale Carta delle Nazioni Unite:

“E’ necessario sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto,
sul principio dell’eguaglianza dei diritti
e dell’auto-determinazione dei popoli…”

La carta delle Nazioni Unite è sottoscritta da 193 paesi. Eppure il diritto di ogni popolo di determinare da sé la propria identità, attraverso la scelta il proprio sviluppo politico, economico, sociale e culturale viene continuamente negato.

Dal 1919 ad oggi moltissimi popoli sono stati privati delle loro ricchezze economiche, e spesso di ciò che di più prezioso gli apparteneva, la terra: per molti di essi patria e casa, cardine della loro identità e fonte principale del loro sostentamento; per noi occidentali serbatoio di ricchezze e materie prime da estrarre a bassi costi ed utilizzare nelle nostre produzioni manifatturiere. Dal carbone, al petrolio, dalla manodopera a basso costo o a costo zero quando ancora vigeva la schiavitù, alle riserve di gas e addirittura di acqua: la caccia indiscriminata alla risorse ha messo e mette in pericolo ogni giorno la sopravvivenza di intere popolazioni in ogni parte del mondo, nonché il rispetto di diritti fondamentali che appartengono a tutti i popoli ed a tutti gli esseri umani.

L’economia globale si basa sin dalla sua nascita su una triste ed innegabile verità, il sottosviluppo è all’origine del sistema capitalista nonché condizione necessaria perché lo sviluppo del nostro occidente avvenga.

Questo per via di un semplice meccanismo, il sistema Nord  – Sud, o CENTRO – PERIFERIA

– la periferia – costituita dai paesi di vecchia colonizzazione (quelli rientranti nel Terzo Mondo, o Paesi in via di Sviluppo), ricchi di materie prime
– il centro – rappresentato dai paesi occidentali, importatori di materie prime a basso costo dai paesi in via di sviluppo e con esse, produttore di manufatti a basso costo

Se non avessimo dato vita a sistemi coloniali per il controllo delle risorse dei paesi extraeuropei, e non avessimo potuto usufruire per secoli di materie prime a basso costo, non sarebbe stato possibile riuscire a sviluppare la nostra società, le nostre tecnologie, a ritmi così serrati. Il mondo in cui viviamo non sarebbe lo stesso che conosciamo oggi.

Oggi in questo meccanismo globale, agli stati coloniali subentrano come soggetti principali le Multinazionali.
Ma quali sono le conseguenze?
E chi ne paga il conto?

 

 

 

Read Full Post »

 

Negli ultimi anni si è visto un maggiore impegno da parte delle case di produzione cinematografiche, soprattutto Statunitensi,  nel documentare attraverso film diciamo di “stampo critico”, fatti avvenuti in paesi in via di Sviluppo, nei quali si riscontrano responsabilità immediate anche da parte dei paesi del vecchio continente. Uno di questi è Blood Diamond, ambientato in Sierra Leone, e critica cinematografica a parte il film può essere preso a pretesto per indagare più da vicino le vicende e le realtà che caratterizzano questo paese, che praticamente per tutti gli anni ’90 è stato dilaniato da una folle guerra civile collegata al commercio illegale di diamanti.



La zona dei Monti del Leone prima della colonizzazione portoghese, avvenuta nel 1462, era inclusa nell’Impero del Mali. Era abitata da quattro gruppi etnici, gl Tmene ed i Limba, i Mandingo ed i Malinkè. Furono proprio i portoghesi a dare a questa terra il nome di Sierra Loya. Prima di loro genovesi e normanni vi stabilirono basi commerciali dandole il nome di costa dei grani.

 Nel 1700 il potere passò in mano agli Inglesi, le etnie vennero prima ridotte in schiavitù e commerciate verso i territori del nord America, poi usate dagli stessi ad emblema della lotta alla tratta schiavista intrapresa dalla Corona Inglese nel 1800.

 Gli schiavi venduti in America dopo aver combattuto per l’Inghilterra nella guerra d’Indipendenza acquistarono la libertà ma patirono, e spesso perirono, fra fame povertà e discriminazione.  Gli schiavi rimasti in Sierra Leone pian piano riuscirono invece a riacquistare il loro status di cittadini liberi, e nel 1787 fondarono la nuova capitale: Freetown. Nel 1896 il paese ebbe un’evoluzione politico-sociale che coinvolse solo la zona costiera, lasciata dagli inglesi alla loro amministrazione autonoma.

Nel 1961 la Sierra Leone ottenne la completa indipendenza.

Ma da quel momento in avanti il paese è rimasto in costante stato di guerra civile, con continui e successivi colpi di stato. Le violenze ed i conflitti tribali aumentarono, così come la povertà e l’analfabetismo, che riguardano tutt’ora il 70 % della popolazione.

 

Nel 1985 il governo toccò il fondo. Molti partiti cominciano ad insorgere contro il governo, il CDF, l’AFCR, e il più importante e violento, il RUF (Fronte Unito Rivoluzionario) che crebbe fino a diventare un vero e proprio esercito di ribelli prese ad attaccare gli uomini alla guida della Sierra Leone accusandoli per il loro malgoverno. Ma in realtà i loro attacchi non furono mirati al solo governo ma a tutto il popolo: cominciarono a mettere a soqquadro l’intero paese e la loro stessa gente, bruciarono villaggi di pacifici e innocui agricolotori o pescatori e ne fecero loro schiavi. Fra le loro file vennero impiegate anche le small boy units, i bambini soldato, strappati alle loro vite ed alle loro famiglie e dai 7-8 anni costretti a combattere, ad uccidere, a mozzare arti contro la loro volontà: imbottiti di droghe e fomentati dagli incitamenti dei loro capi vivono la guerra e l’uccisione degli uomini come un grande gioco, assuefacendosi pian piano alla vista dei morti e del sangue fino a non farci più caso.

 

Qui entrano in gioco i diamanti: per combattere si ha bisogno di armi. Ma i Leonesi non hanno possibilità di costruirle da sé, hanno necessità di commerciare con stati esteri per poterle comprare ed unica e d’altra parte enorme risorsa di questa terra sono proprio le pietre preziose. Aumentano gli attentati e gli scontri ed il governo vieta il commercio di diamanti verso altri paesi, ma ovviamente il contrabbando lo rende possibile. I “conflict diamonds”, i diamanti di guerra, arrivano di nascosto in Liberia e da lì sono venduti come diamanti non sporchi di sangue alle grandi major che si occupano del commercio di pietre preziose. Con i soldi degli occidentali gli africani riescono a reperire le armi.

 Per fermare i massacri nel 1999 intervennero le Nazioni Unite: un contingente di 18.000 uomini riuniti nell’UNAMSIL ha assistito il paese nel cessate il fuoco, nel far cessare gli scontri e durante il disarmo, ed ha coadiuvato alla buona riuscita degli accordi di pace fra il governo ed i partiti contrastanti, che prevedevano la formazione di un governo con quote fra cui oggi sono presenti anche esponenti del RUF.

 

Si parla sempre di ridurre o annullare debiti, ma non si pensa mai a quelli insanabili, incompensabili, che abbiamo noi nei confronti di tutti quei popoli che nel corso della storia abbiamo soggiogato, discriminato, sterminato, sottomesso. Così per il colonialismo in Africa, così per i popoli polinesiani, per le popolazioni andine, mesoamericane e Native del Nord America..

Read Full Post »

Nel viaggio…

“Quindi, pieno d’ardore, mi gettai solo nel tempestoso oceano del mondo, di cui ignoravo i porti e gli scogli. Prima visitai i popoli che non ci sono più; andai a sedermi sulle rovine di Roma e della Grecia: paesi di robusta e ingegnosa memoria, dove i palazzi giacciono sepolti nella polvere, e i mausolei dei re nascosti sotto i rovi. Forza della natura, e debolezza umana: spesso un filo d’erba fora il marmo più duro di quelle tombe, che tutti quei morti così potenti non potranno mai sollevare! A volte appariva un’alta colonna, sola nel deserto, come un grande pensiero che, di quando in quando, si erge in un’anima che il tempo e l’infelicità hanno devastato. Meditai su quei monumenti in tutte le circostanze e in tutte le ore della giornata. Lo stesso sole che aveva visto gettare le fondamenta di quelle città, tramontava maestosamente davanti ai miei occhi sulle loro rovine; e la luna che si alzava nella purezza del cielo, tra due urne funerarie spezzate a metà, mi mostrava le pallide tombe. Spesso ai raggi di quell’astro che alimenta le fantasticherie, ho creduto di vedere il Genio dei ricordi seduto accanto a me in raccoglimento. Ma mi stancai di frugare nelle tombe, dove troppo spesso non smuovevo che una polvere criminale. Volli vedere se le razze viventi mi avrebbero offerto più virtù o meno sventure di quelle scomparse. Un giorno, mentre passeggiavo in una grande città, transitando dietro un palazzo, in uncortile appartato e deserto, scorsi una statua che indicava con il dito il luogo di un famoso sacrificio. Fui colpito dal silenzio di quei luoghi; solo il vento gemeva attorno a quel tragico marmo. Alcuni operai stavano accovacciati con indifferenza ai piedi della statua, dove tagliavano pietre fischiettando. Domandai loro cosa rappresentasse quel monumento: gli uni me lo dissero a stento, gli altri ignoravano la catastrofe a cui alludeva. Nulla mi ha più dato la giusta misura dei fatti della vita, e del poco che noi siamo. Cosa sono diventati quei personaggi che fecero tanto rumore? Il tempo ha fatto un passo, e la faccia della terra si è rinnovata. Nei miei viaggi cercai soprattutto gli artisti e quegli uomini divini che sulla lira cantano gli dèi e la felicità dei popoli che onorano le leggi, la religione e le tombe. Quei cantori appartengono a una razza divina, essi possiedono il solo talento incontestabile che il cielo abbia donato alla terra. La loro vita è insieme semplice e sublime; essi celebrano gli dèi con l’oro della bocca, ma sono i più semplici degli uomini; parlano come gli immortali o i bambini; spiegano le leggi dell’universo, ma non possono comprendere le più innocenti faccende della vita; hanno idee meravigliose sulla morte, ma muoiono senza accorgersene, come i neonati. Sui monti della Caledonia, l’ultimo Bardo che sia stato udito in quei deserti mi cantò i poemi con cui un tempo un eroe consolava la sua vecchiaia. Eravamo seduti su quattro pietre corrose dal muschio; ai nostri piedi scorreva un torrente; poco distante un capriolo passava tra le rovine di una torre, e il vento del mare fischiava sulla brughiera di Cona. Ora, la religione cristiana, anche lei figlia delle alte montagne, ha messo croci sui monumenti degli eroi di Morven, e toccato l’arpa di Davide, sulle rive dello stesso torrente dove Ossian fece gemere la sua. Pacifica, quanto le divinità di Selma erano guerriere, essa custodisce greggi dove Fingal dava battaglia, e ha diffuso angeli di pace là dove le nuvole erano abitate da fantasmi omicidi. L’Italia antica e ridente mi offrì la folla dei suoi capolavori. Con quale orrore santo e poetico non vagabondai in quei vasti edifici che le arti hanno consacrato alla religione! Che labirinto di colonne! Che succedersi d’archi e di volte! Che bei suoni si odono attorno alle cattedrali, simili al rumore dei flutti nell’Oceano, al mormorio dei venti nelle foreste, o alla voce di Dio nel suo tempio! L’architetto costruisce, per così dire, le idee del poeta, per farle toccare dai sensi. Ma cosa avevo imparato fino ad allora con tanta fatica? Nulla di certo tra gli antichi, nulla di bello tra i moderni. Passato e presente sono statue incomplete: l’una è stata ritirata tutta mutilata dalla rovina dei tempi; l’altra non ha ancora ricevuto la sua perfezione dall’avvenire. Un giorno ero salito in cima all’Etna, un vulcano che brucia in mezzo a un’isola. Vidi il sole levarsi sotto di me nell’immensità dell’orizzonte, la Sicilia stretta in un punto ai miei piedi, e il mare disteso nella lontananza degli spazi. Da quella vista verticale sul paesaggio, i fiumi non mi sembravano che segni geografici tracciati su una carta; ma, mentre da una parte il mio occhio scorgeva quelle cose, dall’altra s’immergeva nel cratere dell’Etna, le cui viscere infuocate mi si rivelavano tra neri sbuffi di vapore. Un giovane pieno di passioni, seduto sull’orlo di un vulcano, che piange sui mortali di cui scorge a fatica le dimore ai suoi piedi, certamente per voi vecchi non è che un oggetto degno di pietà; ma, qualsiasi cosa possiate pensare di René, questo quadro vi offre l’immagine del suo carattere e della sua esistenza: così, per tutta la vita, ho avuto davanti agli occhi l’impercettibile immensità della creazione, e un abisso spalancato al mio fianco». «Selvaggi beati! Oh! E io che non posso godere della pace che sempre vi accompagna! Mentre percorrevo con così poco frutto tanti paesi, voi, tranquillamente seduti sotto le vostre querce, lasciavate scorrere i giorni senza contarli. Il vostro pensiero coincideva con i vostri bisogni e giungevate, più di me, alla saggezza, come il bambino, che vi arriva giocando e dormendo. Se qualche volta la vostra anima veniva raggiunta dalla malinconia generata da un eccesso di felicità, in poco tempo uscivate da quella tristezza passeggera e il vostro sguardo, levato al cielo, cercava con dolcezza l’indefinibile ignoto che s’impietosisce del povero selvaggio». Allora il vecchio selvaggio disse: «Mio giovane amico, i moti di un cuore come il tuo non possono essere equilibrati; cerca solo di moderare un po’ quel carattere che ti ha già fatto tanto male. Se tu soffri più degli altri per le cose della vita, non devi stupirtene; un’anima grande deve contenere più dolore di una piccola».

F.R. de Chateaubriand

Read Full Post »

My BLOG

 

Boh… non capisco molto di questo mezzo che usate voi comuni mortali… ^^” se volete curiosare nel mio blog, cliccate sul link!!

Read Full Post »